La montagna del destino

CAPITOLO I

Ormai era passata più di un’ora da quando lo scuolabus era partito, le voci dei bambini cominciavano ad affievolirsi, si facevano sempre più fioche man mano la strada si restringeva e i tornanti diventavano più frequenti.
-Siamo quasi arrivati – disse la maestra – se cercate di rimanere tranquilli non vi sentirete male.
Il paesaggio, al di là dei finestrini, si apriva e si richiudeva davanti a loro, a destra a tratti appariva uno strapiombo o un prato che sembrava degradare.
lentamente verso valle, a sinistra invece rocce minacciose che sembravano incombere sulla strada, si alternavano a boschi e pinete.
Il luogo che dovevano visitare di studio si trovava a poca distanza dall’ultimo paese che avevano oltrepassato.
Finalmente l’autista fermò il mezzo di trasporto in un piazzale coperto di ghiaia, i bambini avevano le gambe un po’ malferme, ma gli ultimi residui di nausea e di torpore furono spazzati via dall’aria fresca, un po’ aspra e profumata che li aspettava all’esterno.
Intorno a loro s’intervallavano prati scoscesi cosparsi da grandi rocce nei quali l’erba giallastra superstite dell’inverno era chiazzata da nuove foglie di un verde tenero e poco lontano si scorgevano i boschi, cupi e silenziosi.
Il cielo di un azzurro intenso era in parte coperto da nuvole grigie che a volte offuscavano il sole.
La montagna che alla luce trasmetteva un’immagine di forza, di durezza quasi, quando il sole si oscurava, sembrava diventare ostile e selvaggia.
I bambini, guidati dalle insegnanti si diressero verso la loro meta, un sentiero stretto ma asfaltato li condusse all’ingresso della miniera.
Trafelati ed eccitati facevano proprio fatica a rimanere fermi, intanto la guida che li avrebbe accompagnati nella visita cominciava a narrare la storia del luogo.
-Hai sentito? – chiese Matteo ad Antonio – Sembra che questa miniera fosse già in funzione in epoca longobarda, ma che probabilmente già i romani sfruttassero le risorse minerarie di questa zona.
– Sì, ho ascoltato anch’io – rispose l’altro bambino – ma guarda che cosa strana, proprio sopra l’entrata della miniera c’è un prato!
– È vero – esclamò Lisa – che aveva seguito il loro dialogo – pensavo ci fossero degli edifici più moderni, simili a quelli che abbiamo visto in fotografia, ma questa sembra proprio una bocca che si apre in una montagna – così dicendo si accinse a varcare la soglia seguita dappresso dai suoi compagni.
– Guardate! Esclamò Martina, una loro compagna di classe – ci sono dei binari!
L’imboccatura della miniera era abbastanza vasta, i binari che l’attraversavano si perdevano oltre ad una curva e alle pareti erano appesi dei pannelli che illustravano i procedimenti per l’estrazione dei metalli.
Dopo una breve sosta vicino a un montacarichi s’inoltrano in un condotto, che benché largo e illuminato da lampadine puntava decisamente verso il basso.
I binari correvano adesso a ridosso di una parete e alcuni vagoncini allineati a uno svincolo sembravano in attesa che qualcuno li usasse.
Non fu necessario alle insegnanti richiamare i bambini al silenzio perché il fascino dell’ignoto li aveva zittiti tutti all’istante.
La galleria principale s’inoltrava sempre più profondamente nelle viscere della montagna e ad alcuni bambini faceva proprio uno strano effetto il pensiero di avere tanta roccia sopra la testa.
Dal tracciato centrale partivano dei passaggi più piccoli e stretti, molti di questi non erano illuminati e si perdevano nel buio.
Man mano scendevano la temperatura si abbassava, in alcuni punti i muri di pietra trasudavano umidità ed erano chiazzati di colore.
Ogni tanto uno slargo transennato lasciava intuire la presenza di una spaccatura che si apriva nel terreno, alcune di queste erano tanto grandi da dividere la galleria, le due parti della quale erano unite da un ponte sospeso.
I bambini procedevano tranquillamente scambiandosi sensazioni e opinioni.

CAPITOLO II

La visita guidata aveva portato i bambini in quella che risultava essere ciò che restava della parte più antica della miniera.
Questa galleria era, infatti, più bassa rispetto alle precedenti e i cunicoli che si diramavano dalla stessa erano stretti e tortuosi.
Le pareti mostravano il segno delle picconate, a intervalli nei muri erano infissi dei ganci nei quali, molto probabilmente, anticamente, venivano infilate le torce.
La maggior parte dei passaggi era pericolante, infatti, erano stati sbarrati con assi di legno. L’illuminazione elettrica era scarsa, in questa zona non c’era molto da vedere.
A gruppo si diressero verso l’uscita, tempestando la guida di domande mentre le insegnanti cercavano di tenere a freno la loro esuberanza.
Quando furono nuovamente all’aperto si diressero verso il pascolo che sovrastava la miniera, qui si sarebbero fermati a fare una veloce merenda.
Antonio, Riccardo, Lisa e Sara si sedettero con la schiena appoggiata a un enorme masso e cominciarono a togliere dai loro zainetti qualcosa da sgranocchiare.
La pietra era ancora fredda, ma il sole cominciava a riscaldarli piacevolmente.
– Antonio accarezzò con una mano erba e disse – mi fa uno strano effetto pensare che in questi luoghi lavoravano degli schiavi e che alcuni di loro erano bambini.
– Non doveva essere molto divertente vivere in questa zona, soprattutto d’inverno –aggiunse Sara addentando una patatina.
-Chissà quante persone si sono sedute qui –fece Riccardo appoggiandosi alla pietra ruvida.
Per un momento rimasero in silenzio a riflettere su quest’affermazione poi un vento freddo li riscosse, il cielo s’incupì e ai ragazzi sembrò di essere trasportati sulle ali di una tempesta.
Lisa fece solo in tempo a esprimere il suo disappunto – con un “No un’altra volta” (Non che Lisa non fosse entusiasta dei loro viaggi segreti, però che capitasse proprio durante una gita scolastica le sembrava un controsenso) – e si ritrovarono nel medesimo tratto di galleria in cui erano in precedenza, solo che tutto, intorno a loro, era cambiato.
Le pareti erano molto umide e brillavano alla luce delle torce, un fumo resinoso e un odore sgradevole rendevano l’aria già densa quasi irrespirabile.
Il rumore dei picconi sulla roccia era molto forte e rimbombava rimbalzando tra le pietre, altri suoni che non riconoscevano si mischiavano a voci lontane.
D’un tratto accanto a loro passò un uomo che trascinava una specie di carretto senza ruote colmo di frammenti di pietra.
Era magro, sporco, la sua schiena curva era segnata da cicatrici, portava degli abiti informi e laceri e li oltrepassò senza dar l’impressione di averli visti.
-Non ditemi che adesso siamo diventati anche invisibili! – Scherzò Antonio.
-Probabilmente era solo stanco e non ci ha visti –disse Riccardo.
-Proviamo ad andare più avanti-propose Lisa.
Senza aggiungere altro si incamminarono nella direzione dalla quale era venuto l’uomo.
La galleria si allargava di poco e proprio vicino alla parete di fronte a loro videro diverse persone intente a lavorare.
Alcune sembrava cercassero di piantare dei grossi chiodi nella roccia, altre con i picconi in mano parevano in attesa, altre ancora raccoglievano frammenti di materiale sul terreno e lo riponevano in grosse ceste.
Tra i raccoglitori c’erano diversi bambini, ma nessuno parve notare i visitatori eccetto un ragazzino che puntò gli occhi verso di loro.
-Credo che tu abbia ragione, eccettuato il bambino biondo, nessuno ci vede- riferì Lisa ai compagni.
-Come fai a dire che è biondo, è nero dalla testa ai piedi –dichiarò Sara –con un sorriso insolente.
Intanto il bambino che aveva terminato di riempire il suo canestro cominciò a trascinarlo proprio nella loro direzione.
Quando li ebbe raggiunti fece loro cenno con la mano affinché lo seguissero.
Li portò verso la galleria principale dove svuotò il proprio cesto.
Qui altre persone, sorvegliate da un uomo grasso con una frusta in mano, erano impegnate a suddividere il materiale.
Dopo aver svolto il proprio compito, il ragazzino tornò ad avvicinarsi a loro e si chinò come se dovesse allacciarsi una scarpa. Portava delle strane calzature, sembravano delle calze fatte della pelle di un qualche animale e dei legacci le tenevano fissate alle gambe.
-Dovete aiutarmi sussurrò rivolto ai bambini.
-Come possiamo farlo? –chiese Antonio –tentando di mantenere basso il tono della voce.
-Ho l’impressione che nessuno vi veda e forse… –continuò il ragazzino – ma il suo discorso venne interrotto da un suono gutturale uscito dalla bocca dell’intendente, che scrutava ansiosamente nel buio.
Non ti vede! – Urlò Riccardo- in qualche modo ti facciamo da scudo!
Il ragazzo si scostò da loro e fingendo di essere scivolato dietro un mucchio di detriti, si alzò in piedi.
Doveva essere di nuovo visibile all’uomo che, sbraitando qualcosa d’incomprensibile, gli si avvicinava minaccioso.
In quel momento uno strano suono si propagò per la miniera.
Il sorvegliante raggiunse il ragazzo con una frustata, ma questi riuscì a scansarla e l’uomo gli colpì solo di striscio la spalla.
Intanto la galleria si stava riempiendo di persone, il segnale che avevano sentito era quello che annunciava la fine del lavoro, per quel giorno.
Videro che il ragazzo si manteneva verso la fine della fila, loro fecero altrettanto e si incamminarono dietro agli altri.
La galleria principale, una volta raggiuntala, risultava più piccola e stretta da come l’avevano vista solo una mezz’ora prima, delle rotaie non c’era traccia, i cesti venivano sollevati tramite corde o portati a mano.
Quando raggiunsero il livello in cui c’era l’ingresso videro le persone davanti a loro dividersi in due gruppi, una parte si disperse all’esterno della miniera, l’altra quella in cui era confluito il ragazzo venne condotta in uno spiazzo dove alcune baracche in legno accostate alle pendici di un dirupo costituivano gli alloggi degli schiavi.
Lisa, Riccardo, Sara e Antonio storsero il naso, da quel piccolo insediamento emanava un puzzo tremendo, ma risoluti continuarono a seguire il bambino.
-Come facciamo ad allontanarci? – chiese Lisa – ci sono dei guardiani all’imboccatura della strada, ci fermeranno.
-No – continuò il giovane – non possono vedervi e se io rimarrò nascosto in mezzo a voi non vedranno neppure me. Fra poco sarà buio e sarà più facile ingannarli.
Il sole era nascosto dietro i monti e sebbene la notte non fosse ancora calata tutta la zona in cui si trovavano era in ombra.
Gli amici si sedettero sull’erba in attesa, finché gli ultimi bagliori del giorno non si stancarono di illuminare le cime lontane.
Nel campo si erano accesi alcuni fuochi, le parole che giungevano alle loro orecchie erano strane, alcune evocavano dei ricordi altre suonavano dure come le pietre.
Stavano quasi per assopirsi quando il ragazzo tornò.
Andiamo- disse- A proposito – aggiunse – mi chiamano Alfred.
Antonio, Sara, Lisa e Riccardo si incamminarono seguendo Alfred oltre le baracche, oltre l’ingresso della miniera sino alla strada sorvegliata da due sentinelle che sedute di fianco ad un fuoco sembrano più intente a divertirsi, giocando con dei dadi, che a scrutare nell’oscurità.
Quasi senza accorgersene oltrepassarono il posto di controllo e si ritrovarono su un sentiero che si inoltrava in un bosco.

CAPITOLO III

Avanzarono con cautela, tenendo celato il ragazzo finché giunti al limite degli alberi gli si allontanarono e lo guardarono in cerca di una spiegazione.
-Avete ragione –disse Alfred – adesso vi spiego tutto.
In questa miniera lavorano sia persone libere, che vengono stipendiate, sia schiavi. A volte capita che quando uno di questi muore o riesce a fuggire, l’intendente, per non dover rendere conto al padrone dell’accaduto, rapisca un’altra persona per sostituire l’assente.
Qualche tempo fa, mentre mi trovavo al mercato in un paese vicino, sono stato catturato e portato qui.
I miei non abitano molto lontano, ma non sono ancora riuscito a trovare un modo per contattarli. La mia famiglia ha una locanda, mio padre e mia madre sono persone tranquille, mia nonna invece è quella che voi chiamereste “una strega”.
Lei mi ha insegnato tante cose e altre me le ha spiegate un vecchio saggio che vive in una grotta in montagna.
Prima di essere catturato andavo spesso a trovarlo, gli portavo il cibo e poi rimanevo con lui a guardare le stelle e il fuoco, il suo nome è Vido.
E’ stato guardando le stelle che lui mi ha detto che se mi fossi trovato in pericolo avrei potuto ricevere aiuto da qualcuno venuto dal tempo.
Abbiamo discusso molto sul significato di questa profezia, senza però arrivare a una conclusione soddisfacente, così abbiamo deciso di attendere e vedere cosa sarebbe accaduto.
Il vostro arrivo mi ha salvato da morte sicura. Non avrei resistito per molto, quello della miniera è un lavoro duro e il mio fisico non è molto resistente. Finché non siete giunti però non sapevo cosa aspettarmi, la sera guardavo sempre il cielo, attendevo e quando vi ho visti comparire così dal nulla ho capito che eravate voi, che eravate voi il tempo.
-Posso chiederti una cosa? Si arrischiò a chiedere Lisa guardandolo con attenzione.
Dimmi! – fece lui.
-Come facciamo a comprenderci? Prima quand’eravamo all’interno non capivamo nulla di quello che veniva detto.
-Non so spiegartelo, io parlo normalmente come si parla qui ora, le lingue si evolvono e trasformano e il vostro linguaggio deve essere per necessità diverso dal mio, forse ci trasmettiamo il senso del discorso con i pensieri, oppure è magia.
-Deve essere magia – disse Antonio lo è anche il fatto che noi siamo qui.
-Probabilmente è così- rispose Alfred – camminiamoci adesso, vi porto a casa mia, però seguiremo la via del bosco così non sarò costretto a nascondermi.
Sara che in un primo momento aveva guardato il ragazzo con un po’ di sospetto, gli lanciò un sorriso pieno di fiducia.
I ragazzi iniziarono a muoversi tra le ombre degli alberi.
La notte era scesa velocemente, le stelle iniziavano a illuminare il cielo e l’aria era sempre più fredda.
Il buio era così buio che avevano l’impressione di poterlo toccare, ma nello stesso tempo si riusciva a scorgere la strada da percorrere a individuare la forma di rocce e rami.
Tra gli alberi si sentivano dei fruscii, a volte piccoli animali sfrecciavano veloci davanti ai loro piedi, in lontananza un lupo iniziò a ululare, alcuni cani abbaiavano la loro risposta.
-Ci sono dei lupi – asserì Riccardo – ma lo disse senza timore, quasi con curiosità.
-Non ci sono lupi da voi? – Chiese Alfred.
– Pochi – rispose Antonio – e vivono in zone protette, molti animali si sono estinti nel corso dei secoli e a proposito in che anno siamo.
-Sinceramente non lo so- rispose il ragazzo – per noi non è importante.
-Siete cristiani? – chiese Lisa – alla quale era sembrato di sentire il suono di una campana mentre uscivano dalla miniera.
-Il cristianesimo ha iniziato a diffondersi anche in questa valle, in città ci sono diverse chiese, qui però tante credenze antiche sono molto più radicate. Il saggio di cui vi ho parlato crede che ci vorrà ancora del tempo perché si possa vivere in armonia.
Sono passati tanti invasori da queste zone e ne passeranno ancora, occorrerà proprio del tempo!
La salita tra gli alberi li faceva ansimare, erano quasi giunti alla sommità di un rilevo che dal lato apposto era costituito da un prato abbastanza ripido.
Alfred si mise a correre e i ragazzi lo seguirono, nello slancio della corsa persero l’equilibrio e si trovarono a rotolare tra l’erba.
La notte che prima sembrava immobile venne scossa dalle loro grida e dalle loro risa.
Ansanti si rialzarono mentre una civetta che avevano disturbato si alzò in volo.
Provavano una sensazione indefinibile a camminare di notte in un bosco, fremevano, avrebbero voluto correre e urlare e nello stesso tempo rimanere in silenzio per ascoltare.
Su suggerimento di Alf bevvero l’acqua fresca del ruscello che scorreva accanto alla radura, poi imboccarono un altro sentiero che si inoltrava nel folto degli alberi.
Procedevano verso nord ovest e camminarono abbastanza a lungo da avere i polpacci indolenziti.
-Si fa proprio fatica a camminare in montagna – esclamò Lisa.
-Noi siamo persone di pianura e poi noni siamo abituati a farlo, in genere usiamo la macchina o la bicicletta- proseguì Antonio- sei stanco Riccardo?
-Si, e mi fanno male le gambe, però è bello camminare così, mi sembra di essere in un libro!
-Non ci sono pericoli vero? -Fece Antonio rivolto al nuovo amico.
-Di notte qui non viene nessuno, in questo periodo non ci sono guerre e la zona è troppo vicina ai luoghi abitati per essere infestata dai briganti, ci sono diversi animali pericolosi che vivono nei dintorni, però raramente attaccano l’uomo- rispose il ragazzo. Manca poco ormai –aggiunse –ed essendo arrivato all’estremità di un’altura si fermò per guardare in basso.
Il paese, se così si poteva chiamare era piccolo, poche case alcune di pietra e altre di legno si addossavano le une alle altre a ridosso della strada che attraversava la valle.
-Quella è la casa del maniscalco –disse Alfred –indicando una costruzione edificata vicino a un torrente, e quella lì accanto è la mia – aggiunse.
Riccardo, Lisa e Antonio e Sara guardarono a lungo l’edificio dietro le finestre del quale si indovinava il bagliore del fuoco.
-Ci avviciniamo dal retro- propose il ragazzino, qui dovrei essere al sicuro, ma è meglio essere cauti.
Finalmente raggiunsero l’abitazione. Alfred scostò la porta che non era chiusa e i ragazzi si trovarono in una grande cucina.
Alle pareti, fatte di sassi di varie misure, erano appesi dei grandi tegami, un largo tavolo occupava lo spazio centrale della stanza e su una rozza credenza stavano impilati ciotole, piatti e bicchieri.

CAPITOLO IV

– Bentornato figliolo – disse una voce che sembrava provenire da un sacco abbandonato presso il fuoco.
-Nonna! – Esclamò Alf – abbracciando con slancio la persona che aveva parlato. –Sono tornato, hai visto, era tutto vero – continuò il ragazzo che calmo e sicuro sino a quel momento sembrava aver perso all’improvviso tutta la propria disinvoltura.
-Calmo ragazzo mio – disse la signora –cosa credi stessi facendo a quest’ora vicino al fuoco? Attendevo il tuo ritorno. Ne ero così certa che vi ho preparato da mangiare, avvicinatevi ragazzi, ce ne è per tutti.
I quattro amici si accostarono al camino un po’ esitanti.
La nonna di Alfred era alta e ben messa, aveva i capelli grigi e gli occhi azzurri, le sue erano mani da vecchia mentre il viso, liscio e tondo, non lasciava indovinare l‘età.
Mi chiamo Mathilda –aggiunse la signora –accovacciandosi presso la luce e disponendo su una specie di stuoia dei panini scuri, frutta secca, latte e qualcosa che sembrava marmellata.
-Niente patatine immagino- disse Lisa – allungando le dita verso un panino.
-Buono! -Esclamò –ha il sapore delle castagne.
Antonio che era affamatissimo seguì l’esempio di Lisa mentre Riccardo che non aveva mai tanta fame era un po’ incerto, Sara invece tese la manina paffuta senza esitazione.
-Alfred puzzi! – disse ridendo la nonna del ragazzo –ma sono contenta che tu sia qui perché è vero ti aspettavo, che avevo fiducia in Vido, ma finché non ti ho visto, non ero certa che sarebbe accaduto davvero.
Abbiamo guardato tante volte nel fuoco e nel cielo, ma una nube nera ci impediva di capire dove fossi. Però ci veniva riconfermata la visione avuta tempo fa cioè che qualcuno sarebbe venuto in tuo soccorso dal futuro, qualcuno che non ci sarebbe se tu fossi scomparso.
Poi guardò intensamente i bambini, quasi volesse leggere sui loro visi qualcosa che non sapevano d’avere.
-Sentite i lupi? Chiese la nonna di Alf ai bambini? – Nelle notti di luna e di stelle percorrono tanta strada sulla montagna perché è loro. Avete guardato la notte che avete attraversato? Me la sapreste descrivere?
-Era scura -disse Riccardo- e silenziosa.
-Avevo l’impressione che il mondo attorno a me fosse più grande – aggiunse Lisa
-E più profondo- intervenne Antonio- come se ci fossero meno cose, non riesco a spiegare bene questa sensazione.
-Per me invece c’erano più cose- disse Sara.
-Avete ragione entrambi – asserì l’anziana signora, c’erano meno cose fatte
dall’uomo, ma era più profonda perché era densa di mistero, di pensieri. Se così non fosse, non sareste qui.
In queste valli perdurano alcune tradizioni del passato, alcune capacità di guardare il futuro e di modificare il presente, per un po’ almeno.
-Avete mangiato abbastanza? – continuò – Perché se avete finito vorrei portarvi da Vido, però dobbiamo fare in fretta, abbiamo la necessità di ritornare prima del sorgere del sole.
-Ma non sarà troppo tardi per noi? – chiese Sara – Cominceranno a cercarci.
-Non preoccupatevi –rispose Mathilda non se ne accorgerà nessuno.
I bambini si alzarono prontamente in piedi e seguirono la donna nell’oscurità.
Il sentiero che lei aveva scelto si arrampicava sul margine di un pascolo seguendo il corso sinuoso di un torrente. La luce delle stelle si rifletteva sull’acqua che scorreva veloce. La notte era silenziosa, neppure i lupi o gli agnelli volevano turbare la quiete del buio.
Solo i loro passi risuonavano nelle tenebre.

CAPITOLO V

Arrivarono sulla cima di un crinale, poi si inoltrarono in un bosco, quando ne uscirono si ritrovarono davanti ad un’erta brulla che si stagliava contro il cielo.
Cominciarono a inerpicarsi, procedere richiedeva uno sforzo enorme e i ragazzi erano stanchi.
Sara che aveva le gambe più corte degli altri ogni tanto chiedeva ai compagni di aspettarla.
Ad un certo momento Mathilda e Alfred sembrarono scomparire dietro un grosso masso.
Gli amici li seguirono faticosamente e oltrepassata la sporgenza videro un sentiero ben delineato scendere e fermarsi poco più in basso.
Dopo averlo percorso i quattro amici si fermarono ad osservare il luogo insolito in cui erano arrivati. Di forma semicircolare era delimitato da alte rocce lisce che si innalzavano verso l’alto, un varco tra due di esse lasciava indovinare la presenza di un anfratto davanti al quale ardeva un fuoco luminoso.
Nonna e nipote erano intenti a discorrere con uno sconosciuto.
I bambini lo squadrarono incuriositi, quando avevano sentito parlare di un vecchio saggio che abitava in una caverna si erano aspettati di incontrare una persona dimessa, curva dagli anni e magari un po’ sporca, invece l’uomo che videro ergersi davanti a loro era eccezionalmente alto, portava un vestito rosso scuro, i suoi capelli e la sua barba erano bianchi, ma curati e alcuni gioielli gli adornavano il collo ed i polsi.
-Avvicinatevi pure, non ho intenzione di mangiarvi- proferì il saggio – sono Vido- aggiunse – e sì, vi aspettavo! Siete proprio belli e strani, quanti anni avete?
– Nove e mezzo o dieci –dissero i bambini.
– Siete proprio alti e tu cosa porti sul naso? chiese guardando Antonio.
-Sono degli occhiali –rispose il bambino –togliendoseli e allungandoli al vecchio – servono per correggere i difetti della vista ed io sono miope.
-Che meraviglia! -Esclamò l’uomo – chissà quante altre scoperte avete fatto nel corso dei secoli!
-Ci sono le auto, la tv, i computer –disse Lisa.
-I telefoni cellulari, le macchine fotografiche digitali, la lavastoviglie –aggiunse Sara.
-E gli ascensori – sospirò Riccardo che era proprio stanco dopo tutto quel camminare.
-Devono essere invenzioni fantastiche –osservò – rendendo gli occhiali a Antonio, ma forse non essenziali. Mi farebbe molto piacere rimane qui e farmi raccontare tutto sul vostro mondo, ma non c’è tempo. Venite vi voglio mostrare qualcosa d’importante – e detto questo si inoltrò oltre l’apertura della grotta.
-Ho un po’ di paura –disse Sara –
-Si, cioè non è proprio paura – approvò Lisa –però sono inquieta.
-Anche noi – fecero eco Antonio e Riccardo – ma visto che siamo arrivati sino a qui è meglio andare.
Così seguirono il saggio all’interno della caverna che si rivelò molto più spaziosa di quanto avevano immaginato. Vari bauli, un letto ed un tavolo costituivano tutto l’arredamento. Dalla parete opposta all’ingresso giungeva un rumore simile a quello dell’acqua, infatti, un rigagnolo scendeva tra le rocce e andava a formare una piccola pozza semicircolare il livello della quale era poco più basso rispetto a quello del suolo. Probabilmente l’acqua in eccedenza confluiva altrove filtrando tra le pietre.
I bambini si sedettero lungo la sponda del piccolo bacino vicino ad Alfred e a Mathilda, Vido li raggiunse reggendo una specie di vassoio rotondo nel quale ardeva del fuoco.
Lo fece scivolare sulla superficie dell’acqua e istantaneamente la grotta si riempì di luce.
Immobili i quattro piccoli guardarono verso l’alto, la luce si muoveva sulle pareti disegnando strane figure e mentre il suono dell’acqua veniva sostituito da un canto, le immagini sembrarono assumere una forma più concreta. Videro un fiume impetuoso scorrere veloce in una valle, una città cinta di mura soccombere ad un nemico e sotto la luce di molti soli cadere e risorgere molte volte, videro la valle farsi popolosa, una donna ferirsi con un forcone, delle rotaie incidere la terra, alberi cadere, bombe aprire voragini nelle strade, il fumo innalzarsi dalle ciminiere, la linea ferrata scomparire ,un caleidoscopio di immagini frenetiche e poi il buio, infine quattro volti, i loro, che li guardavano dall’interno della miniera.
Non se ne erano accorti, ma il loro respiro era diventato veloce, con gli occhi sgranati avevano guardato le forme materializzarsi nell’aria e poi dissolversi e svanire, bolle di sapone sfumate nel tempo, avevano intuito l’intreccio che si snodava in tutta la storia, un legame tra il passato ed il presente, un impegno per il futuro, forse.
Sorpresi e senza parole si guardarono, la grotta pareva essersi rimpicciolita e le persone intorno a loro portavano sui volti un’imprevista stanchezza.
– Cos’è accaduto? – chiese Riccardo.
-Credo l’abbiate compreso – rispose il saggio. In qualche modo il vostro arrivo ha modificato un dato nel tempo e sarà il tempo a decidere se sarà determinante, avevate una missione ed ora si è finita, neppure io riesco a spiegarmi tutto e mi piacerebbe trattenervi per farmi decifrare alcune delle immagini che ho visto perché sono certo, molte cose che per me non significano nulla, per voi devono avere un senso.
– C’è stata una guerra, l’ultima in queste terre quando mia nonna era giovane – disse Antonio- era la seconda guerra mondiale.
-Capisco – disse l’uomo pensoso – no forse non capisco. E poi- soggiunse – la città esiste ancora, la mia città!
-Si, ed è grande e bella. Ci sono tante cose da vedere, musei chiese e il castello- io ci vado spesso – aggiunse il bambino.
L’uomo sembrava leggergli i pensieri e percepire la traccia dei suoi ricordi.
– C’è pace nel tempo in cui siete voi, così mi sembra di aver compreso – accennò – il saggio.
– Si – rispose Sara- l’ultima guerra è finita sessanta anni fa e l’Italia è in pace.
– Italia – sussurrò il vecchio.
– Da qui, anzi da più su fino al Mediterraneo è un unico paese, anzi una nazione – disse Francesco.
– Gradirei fermarmi ancora con voi – disse Mathilda che non si era persa una parola di quel dialogo – ma è tardi, dobbiamo proprio muoverci.
Gli uccelli si misero improvvisamente a cantare anche se il buio regnava tutt’intorno.
I ragazzi salutarono Vido che sembrava restio a lasciarli andare e desideroso di ricevere informazioni e risposte, e seguirono l’anziana ed il nipote che li attendevano impazienti fuori dalla caverna.
Insieme si incamminarono veloci verso il mattino.

CAPITOLO VI

-Non possiamo rallentare un po’? – Chiese Sara.
-Mi spiace ragazzi è proprio indispensabile arrivare alla miniera prima che sorga il sole –chiarì Mathilda.
– Alfred- ma tu cosa fai di solito- chiese Lisa –che pur se era stanca riusciva a mantenere un’andatura veloce.
-Non molto -disse il ragazzo- bado alle pecore, aiuto i miei, poi studio, vorrei diventare un saggio.
Gli amici lo guardarono incuriositi a loro quella del saggio non pareva proprio una professione, però intuivano che in periodi diversi ogni cosa doveva essere valutata differentemente.
Finalmente arrivarono nei pressi della miniera.
-Vi salutiamo “amici” –disse la donna- sarete spesso nei nostri pensieri.
-Vi salutiamo “amici” – ribadì Alfred- grazie di essere venuti.
-Grazie a voi per averci ospitato- disse Antonio- E per averci fatto vedere tante cose –aggiunse Riccardo.
-Anche noi vi penseremo –confermarono le bambine- poi iniziarono a scendere verso il prato.
Il sasso al quale si erano appoggiati sembrava in attesa così loro si sedettero e iniziarono a commentare i vari avvenimenti dei quali erano stati testimoni.
I fatti erano pochi sembrava quasi fossero entrati in un sogno, solo che non era un sogno loro.
Intenti a discutere quasi non si accorsero che la luce era cambiata.
Il sole picchiava sulle loro teste scoperte e faceva brillare i vetri dello scuolabus.
Con un sospiro si alzarono.
C’erano meno alberi intorno a loro e l’aria aveva un sapore asprigno.
Nonostante il rumore dei motori ed il brusio di tante voci sembrava che ci fosse uno strano silenzio, come se mancasse qualcosa.
Il richiamo delle insegnanti li raggiunse e li riscosse dai loro pensieri.
-Andiamo, andiamo, ci aspetta una miniera tutta attrezzata, potrete calarvi con le funi, indossare le imbracature, camminare sulle passerelle, dai andiamo! – Li incitava una maestra.
Verso sera, mentre erano sulla via del ritorno i quattro amici un po’ più silenziosi dei loro compagni, si guardavano attorno, cercavano sulla strada, nel paesaggio che spariva veloce alle loro spalle una conferma per quello che avevano visto, un punto di riferimento, un’intuizione.
Fu Lisa a dar voce al dubbio degli altri- Non avremo sognato?
-Mah! – Rispose Sara- Mi sembra proprio strano che quattro persone facciano lo stesso identico sogno e nello stesso momento.
-Sembra bizzarro anche a me- disse Riccardo.
– La cosa più singolare – aggiunse Antonio –è che più tempo passa più il ricordo di ciò che è avvenuto, diventa meno distinto, temo fra qualche giorno non ricorderemo più nulla.
– E allora scriviamolo- propose Lisa- così non ci dimenticheremo di questa ultima avventura!